Anni '30 - Il forno ai Zavat da "Ai pič della Croda Grande" giu.2002

Ricordo la gioia, quando in giugno ritornavo a Gosaldo per le vacanze estive. Appena la corriera passava la curva di Fornion, appariva d’incanto lo scenario dei campi di S.Andrea , verdissimi, ben tenuti, falciati, puliti, con delle macchie di fiori azzurri. Erano i campi di lino. E’ vero ragazzi, a Gosaldo si coltivava il lino. La coltivazione, oltre a tutti gli altri lavori pesanti, era affidata alle donne. Era tradizione che alle giovani ragazze si affidasse un campo per coltivare la preziosa fibra e con il raccolto prepararsi una parte della dota.

Nel film dei miei ricordi, vedo anche scorrere i campi con i fiori azzurri su a Ronch e a Pette; in ogni casa si trovavano gli asciugamani, tovaglioli e lenzuola di tela di lino, coltivato, lavorato, filato e tessuto a Gosaldo.

Per la coltura del lino e le varie fasi per ottenere il prodotto finito si dovevano seguire determinate fasi di lavoro.

I miei ricordi sulle fasi di lavorazione non sono molto precisi e quindi per raccontarveli mi sono fatto aiutare da un gosaldino esperto.

Dopo aver preparato il terreno (vara vecia) togliendo i sassi e concimandolo per bene si procedeva alla semina. Grande cura poi, durante la crescita togliere le erbacce dal campo. In maggio/giugno le piantine erano giŕ alte circa 30 centimetri con il fiore azzurro, bellissimo. Era davvero uno spettacolo. I piů anziani ricordano perfettamente, quando in processione per le Rogazioni, alla curva del Cristo si vedeva la campagna di S.Andrea tutta piena di fiori azzurri.

Quando il seme era un po’ scuro si toglievano le piantine e a mazzetti, posti su delle stanghe, si esponeva al sole sulle case e sui fienili per far seccare il seme. Quando era secco, si metteva il raccolto dentro un lenzuolo di tela grossa (což) e con un martello di legno (maiuk) si pestavano i mazzetti su di un ceppo per far cadere i semi. I semi, puliti dalla pula con il van , venivano riposti per la prossima stagione oppure utilizzati per portentosi cataplasmi (pappe de lin) .

I coniugi Chiea Antonio Oner (1870-1955) e

Masoch Maria Tastarôla (1871-1959)

In luglio/agosto, tutti i mazzetti (le mane) si stendevano sciolti come un libro aperto sul prato pulito, appena falciato, e si lasciava marcire sotto il sole e la pioggia. Lo stato delle piantine veniva continuamente controllato ed alla fine si teneva la corteccia.

Quando tutto era asciutto, in ottobre/novembre si portava al forno costruito apposta per "essicare" le piante erbacee come la canapa ed il lino, veniva usato da tutte le famiglie a turno e si trovava un po’ prima della casa di Giuliano: la casa con le rose rosse.

Il forno veniva scaldato con molta legna e quando era caldissimo si toglievano le braci e la cenere. Doveva essere pulito con molta cura, una brace dimenticata poteva incendiare tutto il raccolto, e si inserivano le piantine, chiudendo ben bene l’apertura.

SPIGOLA

Dopo alcuni giorni si toglieva il lino dal forno e lo si "sfibrava" con la gramola pestandolo con forza. Con un attrezzo in legno chiamato spigola (era un pettine fatto con i chiodi) si separavano dalle fibre legnose le fibre tessili: il lino vero e proprio (el tei) e la stoppa.

 GRAMOLA - Attrezzo usato per maciullare, sfibrare il lino.

La jaja Moreta dei Panadela

Nelle serate d’inverno le donne filavano il lino con la ruota. Per far saliva si mettevano in bocca i "pomm delle caore", mele selvatiche fatte essiccare al sole in fettine e infilzate con lo spago (žinžole). Il filato veniva messo sull’ aspo e si otteneva cosi la matassa che successivamente veniva messa in un pentolone con acqua e cenere sul fuoco. Successivamente veniva lavata nel pos dei Ferrandi e fatta asciugare. Con il corlo si preparavano i gomitoli.

I gomitoli venivano portati al telaio di Masoch Vincenzo (Stico), su alla costa, nella attuale casa di Celso e Giovanna: era consuetudine portare anche semola e sapone usati per rendere la lavorazione piů agevole. Il pagamento era proporzionato alla lunghezza della tela realizzata.

La tela veniva sbiancata bagnandola continuamente dopo averla stesa sull'erba e fatta asciugare dai raggi del sole.